Dilit

Una scuola che non sembra una scuola

Una scuola dove non ci sono banchi, né cattedre, dove non si fa l’appello e non si danno voti, non si correggono i compiti in classe, che non si chiamano neanche compiti in classe ma Produzioni Libere, dove si impara a imparare, niente interrogazioni, l’errore non c’è perché si chiama ipotesi e le ipotesi si possono modificare, il livello dello studente può cambiare in ogni momento perché  è verificato continuamente, è aperta tutto l’anno… un posto così si può ancora chiamare scuola?               

Questo articolo nasce dalla difficoltà che ho nello spiegare ad amici e vicini come funziona la scuola dove lavoro: la DILIT di Roma. Più entro nei particolari e più i miei interlocutori  rimangono perplessi, ma funziona  esattamente come  ho scritto nell’introduzione. Alla fine il commento di solito è: “Ma così non mi sembra una scuola!” Invece è  una scuola e funziona molto bene… dal 1974.

La perplessità di chi ascolta questi racconti nasce dal fatto che la nostra idea di scuola nasce dai ricordi delle nostre esperienze. E nei nostri ricordi troviamo cattedra, banchi, voti, errori, le correzioni e via via seguendo questo repertorio. Ma anche i professori che noi avevamo in gioventù si comportavano in classe basandosi sui ricordi delle loro esperienze giovanili: cattedra, banchi, voti, errori, correzioni... E i professori dei nostri professori pure… e così indietro nel tempo per generazioni e  generazioni. La reiterazione di questo repertorio ha fatto sì che voti, appelli e interrogazioni siano diventati sinonimo di scuola.

Ma la scuola è sempre stata così?

La parola scuola deriva dal greco skolè, che il dizionario Rocci definisce come:
1. tempo libero, riposo, ozio
2. occupazione legata allo studio, luogo di studio, scuola, associazione
dotta, luogo dell’apprendimento dilettevole
3. tregua, riposo, ma anche pigrizia
Riguardo al significato, erano compresi sia l'insegnare che
l'imparare.

Eppure da una ricerca svolta qualche anno fa tra gli adolescenti dell’Unione Europea il primo aggettivo con cui la maggioranza dei giovani definisce la scuola è “noiosa”.

Ma cosa è successo? perché la scuola non è più luogo di apprendimento dilettevole?

Dionisio Trace nel II sec. a.C. è il primo che “osserva” la lingua,  naturalmente il greco. Nessuno prima l’aveva fatto. Dai suoi studi nasce il concetto di soggetto, verbo e oggetto, che ancora oggi usiamo. Il grammatico era un osservatore di fenomeni, non un dittatore della lingua. Le opere di Platone, Euripide, Diogene, Erodoto, Euclide, Saffo,  Omero, Eschilo e svariati altri sono state scritte prima ogni regola grammaticale e ancora oggi sono studiate nelle scuole e nelle università.

Poi nei secoli dell’Alto Medioevo l’Europa assiste al crollo del sistema scolastico antico, conseguente alla caduta dell’Impero Romano e all’arrivo in occidente delle popolazioni germaniche. Queste organizzano gli stati romano-germanici ma senza conservare o proporre un apparato scolastico strutturato, dato che la loro era cultura orale. In pochi decenni scompare la scuola pubblica antica dai territori occidentali. La Chiesa  ricostruisce gradatamente il sistema scolastico, nelle città.

Per il resto nascono, in giro per l’Europa,  quelle che si chiamavano le Scuole Latine.

Erano organizzate così: un insegnante itinerante arrivava in paese e cercava studenti che fossero disposti a pagare per imparare a leggere e a scrivere, il latino naturalmente. L’insegnante era semplicemente qualcuno che sapeva leggere, cosa ben rara ai tempi. In più possedeva un libro, altra cosa rara e costosissima e si trattava quasi sempre di una Bibbia, la “Vulgata” nella traduzione  di San Girolamo. Consideriamo che una buona biblioteca, intorno all’anno 1000, constava di una trentina di libri. La  lezione si svolgeva così: l’insegnate si metteva di fronte agli studenti, seduti su panche, e leggeva, rileggeva e ancora rileggeva una pagina della Bibbia e poi leggeva ancora e ancora. La parola “lezione” deriva dal verbo leggere. Ovviamente perché non c’erano libri. Secondo un documento spagnolo del 706 d. C. un "antifonario" costava 3 soldi d’oro, un libro di preghiere 2 soldi. Lo stesso documento dice che un bue o una  mucca costava circa 1 soldo a capo. Gli studenti stavano seduti in silenzio di fronte all’insegnante, zitti, ad ascoltare. Fino a quando  non faceva provare uno di loro. La ripetizione doveva essere perfetta, perché era gravissimo ripetere non correttamente la parola di Dio! Era peccato grave. Infatti ai tempi della Scolastica ripetere correttamente era di gran lunga più importante che capire quello che si ripeteva. Imparare a memoria e ripetere correttamente.

Da qui si origina la scuola di oggi. Ma oggi abbiamo tutti i libri, i computer, i cellulari che vogliamo!

Generalmente chi entra in classe per insegnare ripropone, grosso modo, i gesti degli insegnanti che ha avuto da bambino/a e da ragazzo/a. Non per volontà, ma mette in pratica le registrazioni che ha dentro di sé. E così generazione dopo generazione. Fino a quando …

Qui alla DILIT è successo che nel 1974 un gruppo di allora giovani insegnanti, non soddisfatti di quello che praticavano in classe, né dei libri che utilizzavano, hanno cominciato a sperimentare a trecentosessanta gradi. Dopo poco a loro si unisce un allora giovane, illuminato e visionario pedagogo inglese, che non se ne andrà più dalla DILIT. Così ha origine questa scuola e questo progetto di ricerca, che sta continuando ancora oggi, che negli anni ha creato il nostro modo di lavorare.

Il principio è che lo studente non è un contenitore da riempire con le regole della lingua, ma è un universo ricco di esperienze che sta ricostruendo al suo interno, a suo modo, una lingua: le lingue non si imparano, si ricostruiscono (vedi omonimo articolo).

Per fare questo bisogna creare nello studente degli spazi di interesse, di curiosità, che possano ospitare le nuove informazioni, i nuovi concetti. L’esperienza della lezione frontale ha lasciato e lascia molta frustrazione sia nell’insegnante che negli studenti. Il più delle volte la spiegazione entra da un orecchio degli studenti ed esce dall’altro. Non c’è colpa, si fa così un po’ in tutto il mondo. Ed è accettato in tutto il mondo, perché tutti siamo stati formati così dalla scuola. Però se pensiamo fuori dalle righe e allarghiamo il campo di indagine è bene partire informandosi sul funzionamento dello strumento principale con cui abbiamo a che fare: il  cervello. Il nostro cervello non registra tutto come fa un computer e come sottintende la lezione frontale, ma seleziona, e ha bisogno di tempi di “digestione” per far proprie le nuove informazioni.  Quindi l’insegnante per prima cosa deve creare spazio per “il nuovo” nella mente dello studente. Ed il nuovo deve avere il tempo di armonizzarsi con tutto il resto dei contenuti (digestione). E in tutto questo processo, chi agisce, il protagonista è lo studente e non l’insegnante. Più l’insegnante è al centro del processo meno lo studente acquisirà fiducia in sé: farà poco e solo se richiesto. Scriverà e dirà cose molto semplici e banali, ma formalmente corrette per non fare brutta figura. Teme il giudizio. Esprimere liberamente le proprie idee e la propria personalità, aumenta la fiducia in sé stessi/e come parlanti di quella lingua. Questa è una garanzia al miglioramento e alla più rapida ricostruzione della lingua dentro di sé. 

Non so se è un po’ più chiaro come funzionano le cose alla DILIT , ma che siate studenti o insegnanti venite a trovarci e a vedere direttamente.

Perché pur non sembrando una scuola, da 45 anni abbiamo studenti da 67 paesi del mondo e una percentuale altissima di ritorni di studenti. Qui si impara a imparare: non ci sono banchi, né cattedre, non si fa l’appello e non si danno voti, non si correggono i compiti in classe, che non si chiamano neanche compiti in classe ma Produzioni Libere, niente interrogazioni, e l’errore non c’è perché si chiama ipotesi, e le ipotesi si possono modificare, il livello dello studente può cambiare in ogni momento perché  è verificato continuamente, è aperta tutto l’anno.

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